giovedì 1 maggio 2008
Come Italo Svevo nella narrativa, anche il suo conterraneo Umberto Saba occupa un posto a sé nella grande lirica del Novecento. Né crepuscolare, né avanguardista, né ermetico, egli continuò a camminare controcorrente per tutta la vita, sicuro dell’autenticità della sua poesia. Pur vivendo nel cuore del secolo, la sua opera appartiene infatti ad una linea antinovecentista poiché rifiuta le più vistose e spericolate innovazioni poetiche del proprio tempo.
Ebreo per parte di madre, il suo vero cognome era Poli. Volle scegliersi lo pseudonimo Saba, che in ebraico significa “pane”, in segno d’umiltà o, secondo una spiegazione che non esclude la prima, in ricordo di Beppa Sabaz, la nutrice cui fu legato da grande affetto. Umberto Saba, uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, visse per lo più a Trieste, sua città natale, dove a lungo tenne una libreria antiquaria. Vendeva libri e scriveva versi.
Lontano dalla rispettabilità sociale proveniente da una formazione scolastica adeguata e, più tardi, dai gruppi letterari, Saba fu un autodidatta; e forse un po’ per solitudine (spesso isolamento volontario), un po’ per rispondere alle sue esigenze di libertà, egli volle essere, volutamente senza alcuna preparazione specifica, il proprietario di una libreria antiquaria.
Lontano dalla rispettabilità sociale proveniente da una formazione scolastica adeguata e, più tardi, dai gruppi letterari, Saba fu un autodidatta; e forse un po’ per solitudine (spesso isolamento volontario), un po’ per rispondere alle sue esigenze di libertà, egli volle essere, volutamente senza alcuna preparazione specifica, il proprietario di una libreria antiquaria.
La sua poesia è quella di un autodidatta che ignora quasi completamente il laboratorio delle sperimentazioni contemporanee così vive a inizio secolo. Potrebbe essere considerato, questo, un limite della produzione di Saba ma è invece soprattutto la sua forza e la sua originalità. La crisi che investe la poesia novecentesca non trova un fondamento in questo poeta che, senza paure, usa il termine casalingo e familiare. Nella sua opera, nata negli anni delle avanguardie, Saba non esita infatti ad adottare le forme poetiche del passato, come la metrica regolare e l’uso delle rime, di cui farà ampiamente uso anche in seguito, attribuendo loro una particolare importanza e funzione.
Come Italo Svevo nella narrativa, anche il suo conterraneo Saba occupa dunque un posto a sé nella grande lirica del Novecento. Né crepuscolare, né avanguardista, né ermetico, egli continuò a camminare controcorrente per tutta la vita, sicuro dell’autenticità della sua poesia. E come Svevo anche Saba sconta la sua posizione di intellettuale periferico molto più legato alle radici della tradizione e della cultura mitteleuropea che non a quella nazionale. La città di Trieste si trovava infatti, prima del 1918, nei confini dell’Impero asburgico, in posizione decentrata rispetto ai più importanti centri culturali italiani e dunque lontana dalle avanguardie. E’ per questi motivi che certi modi della poesia italiana, altrove già scomparsi, trovavano a Trieste un terreno propizio.
Come Italo Svevo nella narrativa, anche il suo conterraneo Saba occupa dunque un posto a sé nella grande lirica del Novecento. Né crepuscolare, né avanguardista, né ermetico, egli continuò a camminare controcorrente per tutta la vita, sicuro dell’autenticità della sua poesia. E come Svevo anche Saba sconta la sua posizione di intellettuale periferico molto più legato alle radici della tradizione e della cultura mitteleuropea che non a quella nazionale. La città di Trieste si trovava infatti, prima del 1918, nei confini dell’Impero asburgico, in posizione decentrata rispetto ai più importanti centri culturali italiani e dunque lontana dalle avanguardie. E’ per questi motivi che certi modi della poesia italiana, altrove già scomparsi, trovavano a Trieste un terreno propizio.
Saba era perciò l’erede di una certa poesia discorsiva, tipica dell’Ottocento, che traeva dalle cose di ogni giorno il suo possibile fondamento. Questo non significa che la poesia di Saba deve essere considerata “passata”, perché del tutto nuovi e originali sono il tono e il linguaggio usati dal poeta. Nuovo è il tono con cui Saba si avvicina alle umili cose. Il suo bisogno di mescolarsi alla vita quotidiana degli altri porta il poeta a dare un significato ai personaggi più umili e anonimi, alle manifestazioni più usuali della vita collettiva. E nuovo è il linguaggio perché le parole di Saba, le “parole senza storia”, come sono state definite, rappresentano in realtà una cultura sedimentata negli anni. Apparentemente semplice e lineare, la poesia di Saba è infatti nutrita dalla lettura dei più spericolati maestri contemporanei, da Nietzsche a Freud.
Fra l’agitarsi delle avanguardie, la sua opera dunque richiamava un’arte antica, semplice ed umana che mirava ad una poesia “onesta”. Saba indicava l’onestà come unico metro di poesia e per onestà intendeva innanzitutto “chiarezza interiore”, sincerità morale. Soltanto così si poteva raggiungere la “grazia” della poesia, quella grazia secondo cui il poeta, immerso nel flusso della vita comune, se ne fa interprete, ne gioisce e ne soffre più degli altri.
L’opera poetica di Umberto Saba è quasi tutta compresa nel grande volume intitolato il Canzoniere, una sorta di autobiografia in versi che il poeta compose nel corso di oltre cinquant’anni. Con questo titolo, che rimarrà definitivo, saranno comprese, nelle ulteriori edizioni, anche le raccolte dei decenni successivi. L’intera opera poetica di Umberto Saba è confluita in questo libro organico e unitario che con la sua concezione ha condizionato e orientato le singole raccolte parziali man mano ideate.
Fra l’agitarsi delle avanguardie, la sua opera dunque richiamava un’arte antica, semplice ed umana che mirava ad una poesia “onesta”. Saba indicava l’onestà come unico metro di poesia e per onestà intendeva innanzitutto “chiarezza interiore”, sincerità morale. Soltanto così si poteva raggiungere la “grazia” della poesia, quella grazia secondo cui il poeta, immerso nel flusso della vita comune, se ne fa interprete, ne gioisce e ne soffre più degli altri.
L’opera poetica di Umberto Saba è quasi tutta compresa nel grande volume intitolato il Canzoniere, una sorta di autobiografia in versi che il poeta compose nel corso di oltre cinquant’anni. Con questo titolo, che rimarrà definitivo, saranno comprese, nelle ulteriori edizioni, anche le raccolte dei decenni successivi. L’intera opera poetica di Umberto Saba è confluita in questo libro organico e unitario che con la sua concezione ha condizionato e orientato le singole raccolte parziali man mano ideate.
Fino all’ultimo Saba ha continuato a lavorare alla sua opera, rivedendola e correggendola. Due sono però i momenti fondamentali nella storia della nascita del Canzoniere: il Canzoniere 1921 e il Canzoniere 1945. Tutte le altre “forme” assunte dal libro vanno inserite nel quadro generale di queste due capitali edizioni. Se il Canzoniere del 1921 nasce dalla raccolta giovanile Coi miei occhi, l’edizione del 1945 nasce da Parole, la raccolta del 1934.
E’ un’acquisizione ormai certa che il Canzoniere non è soltanto una “somma di poesie”: è una forma in cui ogni singolo componimento è letto in sé ma rimanda anche ad un significato nascosto che attraversa tutta l’opera. Un testo, il Canzoniere, in cui come ha scritto lo stesso Saba, “tutto, il bene e il male, si tiene”.
Partendo spesso da una situazione autobiografica, il poeta si raffronta subito con una realtà concreta che rimanda alla vita quotidiana, alle presenze familiari e domestiche. La moglie, gli animali della campagna, la città in cui vive, sono alcuni dei temi principali ricorrenti sia nelle prime poesie giovanili che nelle ultime raccolte. Ma il suo “realismo” poetico non è superficiale né si ferma alle apparenze, al contrario è alla ricerca dei sensi nascosti e segreti delle cose.
Poiché la critica, nel periodo fra le due guerre, aveva riservato alla sua opera una tiepida accoglienza, Saba si fece interprete di se stesso scrivendo la Storia e cronistoria del Canzoniere (1948), ricca di acute osservazioni umane e poetiche. I pochi riconoscimenti che gli furono attribuiti nel decennio 1930-40 non allargarono mai infatti la sua fama al di fuori della ristretta cerchia letteraria. E’ soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale che Saba emerse con la sua voce di poeta non più triestino ma italiano, donando alla nostra letteratura un ritratto a tutto tondo non solo di sé ma di tutta un’epoca.
E’ un’acquisizione ormai certa che il Canzoniere non è soltanto una “somma di poesie”: è una forma in cui ogni singolo componimento è letto in sé ma rimanda anche ad un significato nascosto che attraversa tutta l’opera. Un testo, il Canzoniere, in cui come ha scritto lo stesso Saba, “tutto, il bene e il male, si tiene”.
Partendo spesso da una situazione autobiografica, il poeta si raffronta subito con una realtà concreta che rimanda alla vita quotidiana, alle presenze familiari e domestiche. La moglie, gli animali della campagna, la città in cui vive, sono alcuni dei temi principali ricorrenti sia nelle prime poesie giovanili che nelle ultime raccolte. Ma il suo “realismo” poetico non è superficiale né si ferma alle apparenze, al contrario è alla ricerca dei sensi nascosti e segreti delle cose.
Poiché la critica, nel periodo fra le due guerre, aveva riservato alla sua opera una tiepida accoglienza, Saba si fece interprete di se stesso scrivendo la Storia e cronistoria del Canzoniere (1948), ricca di acute osservazioni umane e poetiche. I pochi riconoscimenti che gli furono attribuiti nel decennio 1930-40 non allargarono mai infatti la sua fama al di fuori della ristretta cerchia letteraria. E’ soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale che Saba emerse con la sua voce di poeta non più triestino ma italiano, donando alla nostra letteratura un ritratto a tutto tondo non solo di sé ma di tutta un’epoca.
FONTE (photo include): Agora Magazine - Roma,Lazio,Italy
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